grazie.

Caro Giorgio Francesco, mi dispiace per te ma – dopo qualche pasto e un po’ di riposo – è giunto il momento degli inevitabili ringraziamenti.
Lo so, sono noiosi e melensi. Puoi leggere solo il primo e saltare direttamente alla fine, non mi offendo.

Grazie a te e al tuo ‘Alzatevi!’. E sempre lodato sii per la tua Enciclica.

Grazie a mio fratello corpo, che mi ha seguito con pazienza e ora addirittura si compiace della leggerezza ritrovata.

A Paola, imprescindibile. A Gaia e Giorgio, miei cari.

A Luciana e al suo cuore di pietra (un rarissimo tipo di tormalina, ardente al contatto).

A Sandro, complice amabile e grande dispensatore di segreti e caffè.

A Elena e Fernando, è una fortuna che siate al mondo.

A Fulvio e Paola per l’energia ricevuta, in tutti i sensi.

A Melania, oro puro – di famiglia.

A un angelo di nome Angela e a mio fratello Stefano.

A Nadia, presenza e calore costante.

A Teiro e Sofia, sono ancora incantato.

A Fiorenza, impeccabile, per i preziosi attimi colti insieme.

A Maurizio e Claudio, alla dolcezza di sentirvi vicini (e ora c’è un bel lavoro che ci aspetta).

A Nando, una forza per la natura.

A Marco e Stefano, amici veri nei momenti giusti, acqua dissetante al profumo di salvia.

A Michel, Giuseppe, Francesca e Fulvio, fratelli inattesi e compagni di strada.

A Matteo, decisivo, insieme nei secoli.

A Stefano, Susanna, Giulia e Fausto, insieme nei secoli.

A Irene e Alessandra, due stelle.

A Enzo, al suo modo unico.

A Giampiero e Mirella, per una gioia inaspettata.

A Don Gennaro, vicino nel silenzio.

A Max, compagno di squadra – specialità fioretto.

A Loredana e Sarah, per la forza delle vostre parole.

A Piero, pura essenza di note d’Oriente.

Ai guerrieri Simona e Giancarlo, a Rosella, a Miro il grande e Massimo il vogatore, a Cinzia, Pina, Mirella e Sonia, Rita, Elisa, Fabio e Cristina, Silvia e Tofee, Stefano, Francesco e Maria Vittoria, Chiara, Francesca e Simona, Roberto, Giorgio, Nicola, Gigi, Maurizio per i suoi occhi, Maurizio per le sue cure, Maurizio dall’estero, Fabio e Luigi, Arianna, Simone, Alice e Marisa, Alfredo, Enzo, Cesare, Alberto e Letizia, Riccardo, Dino e papà, Isa, Paola, Nina, Laura e Diego, Nadia, i bambini, Marisa e Alice, Nives, Carlo e Claudia per l’ombra e i consigli, Marta e Marcello, Tosi, Anna e Cesare, Marinella, Daniela e Walter, Alessandro, Cristiano, Francesco, Massimiliano e Gianluca, Fabio, Elisabetta e Fabrizio, Tito, Isa, Sergio, Stefano, Luisa e Letizia, Adriana, Davide, Elia e Maria Rosaria, Paolo, Daniela, Simona e Carlo, Michela e Ilaria, Marco, Cinzia e Isadora, Alessandra, Franco, Giuseppe, Zelda e chiedo perdono per le dimenticanze. Grazie a Carla, Rinaldo, agli amici e amiche del Porto. Ad Alessio, per la tempestiva solidarietà. A Stefano e Antonietta, a Gianni e Auretta, a Michele, Mauro e Antonella per avermi aperto gli occhi, e non solo i miei. Ai miei familiari. Ai miei fratelli e sorelle che non si vedono, ma si sentono.

Ciao Giorgio Francesco, queste sono le ultime parole di questo blog. Anzi, le penultime.

Se vuoi notizie dal nostro comitato, puoi andare su Fermiamo Cupinoro_page.
Se vuoi mie notizie, tra un po’ scriverò qui sotto il nome di una nuova storia. Il nome preciso ancora non lo so – dipende anche da te.
Se tutto va bene potrebbe chiamarsi:

casa con vista.

Caro Giorgio Francesco

ti saluto da un posto speciale. Ieri l’abbiamo fatto vivere e vibrare, festeggiando la fine di questo digiuno.

E’ una piccola casa che un tempo i pecorai usavano per fare il formaggio, un po’ annerita, con un nido di vespe cartonaie sul soffitto e un topo che ancora non si capacita di avere dei coinquilini.
L’abbiamo adottata qualche giorno fa, gli abbiamo dato una ripulita e nelle ore più calde venivamo qui.
Diventerà un Presidio.

Anche la vista è speciale. Da qui si vede il bene e il male. Un passato fatto di incoscienza e immondizia, ancora presente. E un futuro verde, brillante, che toglie il respiro.

La porta grande dà sulla discarica, la inquadra alla perfezione.
E’ facile passare dalle porte grandi, è facile distruggere e consumare, è una strada in discesa. Porta rovina e soldi, rovina per tutti, soldi per pochi.

La porta piccola – sul lato opposto della stanza – si affaccia sul paradiso.
A destra una grande quercia, dietro di lei il Sambuco e i monti selvaggi della Tolfa, poi i boschi di S.Giuliano, poi ancora il colle etrusco di Monteroni. Poi il mare. Con un solo sguardo.

Che dire, è tutto sotto i nostri occhi. Cosa siamo. Cosa possiamo essere. Come potrà diventare il nostro paese, nel momento in cui sapremo vedere tutte le sue ricchezze.

Da questa casa si vede anche un’altra casa.
La casa comune di cui parli tu, questo pianeta di cui dobbiamo imparare ad avere cura. Se facciamo pulizia in noi, la casa brillerà. Ma prima dobbiamo scegliere – tra la fame dell’animale e la dignità dell’essere umano, capace di rispetto e di tenerezza verso ogni cosa. Dobbiamo capire chi vogliamo essere.

E’ un lavoro duro, in salita, e bisogna passare per la porta piccola. Ma in fondo, è l’unica.

E alla fine del cammino, alla fine di questo lungo sguardo – c’è il mare.

Noi ci andremo, senza fretta, ognuno secondo il suo tempo.
Cammineremo sulla sabbia – senza fretta, un passo dopo l’altro – e poi ci tufferemo in acqua e scivoleremo tra le onde di cristallo.

Prima di andare, però, teniamo pulita la spiaggia.

Ciao, ci vediamo (magari).

anche un bambino.

Caro Giorgio Francesco

sento di averti parlato abbastanza di discariche, inceneritori, biogas, biomasse e altri sistemi per inquinare il pianeta e rubare soldi pubblici. Passiamo alle buone notizie.

Far sparire i rifiuti è possibile.
C’è un modo naturale, semplice. Anche un bambino lo capirebbe.
I contadini lo conoscevano, e fino a cinquanta anni fa, lo mettevano in pratica. Non avevano la nozione di rifiuto. Raccoglievano il ferro e il vetro in due bidoni, e il resto andava agli animali o all’orto. Succedeva prima dell’Era della Plastica.

Tu l’hai detto chiaro e tondo nella tua enciclica, quando parli della necessità – di più, l’urgenza – di ‘adottare un modello circolare di produzione che assicuri risorse per tutti e per le generazioni future, e che richiede di limitare al massimo l’uso delle risorse non rinnovabili, moderare il consumo, massimizzare l’efficienza dello sfruttamento, riutilizzare e riciclare.’

Modello di produzione circolare. Riciclo.
Il cerchio ritorna sempre. Seguire il suo flusso ci porta lontano, verso un pianeta più vivibile, al traguardo dei Rifiuti Zero (anche lo zero è un cerchio).

E’ una strada che potremmo percorrere in sette passi: le sette R.

RIDUZIONE. Ridurre i rifiuti non creandoli, è l’uovo di Colombo. Per noi cittadini significa moderare i consumi e scegliere bene – il mercato anziché il supermercato, prodotti più naturali e longevi, alla spina, senza imballaggi e plastiche inutili. Per la politica significa imporre a commercianti e distributori regole severe per limitare al massimo gli scarti, che poi diventano un onere per la comunità.

RACCOLTA DIFFERENZIATA. Ce n’è un solo tipo che funziona, quella domiciliare, porta a porta. In tutto il mondo. Responsabilizza noi cittadini, crea lavoro, pulisce le strade dai cassonetti, consente di avere materiali subito pronti per il riciclo.

RIPARAZIONE. E’ logico che una bicicletta senza un pedale venga seppellita in una discarica?

RIUSO. O non è forse meglio che qualcun altro la riutilizzi? Io andrei spesso e volentieri in un piccolo Centro di Riuso comunale vicino casa dove trovo oggetti usati, a un prezzo ottimo, salvati dalla distruzione. E di questi tempi, non sarei il solo.

RICICLO. E’ un mondo. Ogni materiale offre infinite possibilità, per tornare a essere ciò che era o diventare altro. Vetro, carta, metalli. Una forchetta piegata che diventa un gioiello, una borsa fatta con i vecchi jeans, meccanismi di orologi trasformati in sculture, dal rifiuto all’arte. Il pericolo da evitare, come con la plastica, è inquinare nei processi di trasformazione.

RECUPERO DI MATERIA. Di materia, qualunque materia, non di energia. Non facciamoci ingannare, chiamano gli inceneritori ‘termovalorizzatori’ per coprire questi mostri con la foglia di fico del recupero di energia. Stessa cosa per il biogas. Con il vero compostaggio – aerobico – possiamo restituire anche alla terra la materia di cui ha bisogno, il compost, fondamentale per contrastare la desertificazione dei nostri campi devastati dalla chimica.

RIPROGETTAZIONE. Ripensiamo tutto dall’inizio. Reinventiamo oggetti, mezzi, case, utensili per avere la massima efficienza al minimo dei consumi e dell’impatto ambientale. Orientare le scelte industriali presuppone però una politica – locale, nazionale, internazionale – fondata sull’etica, determinata, non collusa o corrotta. (Sì, c’è molto lavoro da fare.)

Processi semplici richiedono impianti semplici.
Per la frazione organica, il primo impianto è una compostiera in balcone. Poi le compostiere di comunità, nelle mense, alberghi, scuole. Poi ancora i centri di compostaggio, più piccoli e più vicini possibile alla zone servite.
Per gli altri materiali, isole ecologiche e poi i rispettivi centri di raccolta – le piattaforme. Anche intercomunali, ma senza allargarsi troppo.
Per l’indifferenziato, per i prodotti multimateriale, ci sono gli impianti ‘modello Vedelago’ – in cui viene operata una selezione generale e successivi trattamenti specifici per isolare, riciclare e riutilizzare tutto ciò che può essere riciclato. Anche la maledetta plastica.

Utopia? A Ponte nelle Alpi lo fanno.
E’ solo un piccola cittadina? Lo fanno anche a San Francisco.

In entrambi i luoghi, come tanti altri in Italia e nel mondo, lo fa chi lo vuole fare.

Speriamo in un contagio.

A domani

confessione.

Caro Giorgio Francesco

devo confessarmi.

Non mi succedeva da un bel po’ di tempo, non sono un cattolico osservante.
Vado a Messa due volte all’anno, la notte di Natale e il Venerdì Santo. Sento e seguo il desiderio di essere vicino a Gesù – meraviglioso Maestro, inchiodato su una croce per aver insegnato l’Amore – nella sua prima e ultima ora. Il giorno di Pasqua festeggio ogni anno la sua gloria, insieme a tutta la mia famiglia.

Cerco di essere un Cristiano. Di mettere in pratica le sue parole, di non lasciarle lì a morire dentro le pagine di un libro. E’ difficile. Ma un uomo e un santo come Francesco d’Assisi mi fa vedere che è possibile. Sempre, anche dopo mille e duecento anni. O duemila.

Ti sento padre. Dopo i tuoi gesti e i tuoi appelli, dopo aver atteso e letto la tua enciclica – cosciente, innamorata – riconosco la saggezza del tuo lavoro. Avvicinare il cielo alla terra. E’ il compito di tutti noi, che tu hai preso sulle spalle. Come potrei non seguirti?

Ho bisogno di parlarti. Devo dirti solo due parole, due parole che ho nella testa e nel cuore da troppo tempo. Che valgono questi giorni – indimenticabili – senza cibo. Non so se hai letto queste lettere, non so se le leggerai mai, non so se qualcuno te ne ha parlato, non so se forse hai pensato che un Papa deve occuparsi di una grande comunità e non dei singoli individui. Sacrosanto. Su questo però posso rassicurarti.

Io non sono nulla.

Ho solo sentito di dover fare un gesto e l’ho fatto. Per la mia comunità e non solo. Sono felice di averlo fatto, ho avuto in cambio doni inestimabili. Non ho piani, non ho prospettive, non ho obiettivi. Nulla. Conoscevo solo il primo passo.

Ti confesso che ho sognato un tuo gesto, una parola per questa comunità e per quelle che stanno pagando il prezzo di una politica sui rifiuti sempre più dissennata. Ma tu la tua parte l’hai già fatta. Ora tocca a noi lavorare per informare, per risvegliare i valori e sventare i pericoli in corso, per costruire l’alternativa.

Caro Giorgio Francesco, la sera della prossima domenica interromperò questo digiuno. Forse potrei ancora andare avanti, ma a questo punto rischio le bastonate della mia dolce sposa e il successivo divorzio.
Domenica mangeremo insieme, sotto la montagna dei veleni e alla faccia sua, ognuno porterà qualcosa ma niente plastica per favore, inonderemo di suoni e di canti questo posto magico, immagineremo per lui un nuovo destino. Insieme. Se davvero vorremo farlo, riusciremo a farlo. E io quella sera ti penserò.

Io non sono nulla. Ma ti confesso che in quel nulla c’è qualcosa di ostinato. Verrò da te, insieme alla montagna. Chiederò un’udienza, quando sarà sarà.
Non ti farò perdere tempo. Solo due parole.

Ti abbraccio forte.
A domani

PS Naturalmente sei invitato alla cena! Vieni con chi vuoi, lo spazio non manca..

rifiuti e serpenti.

Caro Giorgio Francesco
mi hanno avvelenato. Questo sciopero della fame sotto al sole leone, per me è quasi una cura – dovevo liberarmi delle tossine accumulate da anni.

Questa è l’ultima lettera avvelenata. Anche scriverla mi fa male.

Conosci il problema della Terra dei Fuochi.
Ben venti anni fa – 20 anni, lo scrivo anche a numero – il boss pentito Carmine Schiavone raccontò tutto, nomi, cognomi, industrie, clan di camorra e amministratori coinvolti. Fino al 2013 non si è mosso nulla. Il traffico di rifiuti tossici continuava e la terra campana, famosa per la sua fertilità, continuava ad essere avvelenata. Sotto gli occhi di tutti, ermeticamente chiusi. Gli unici a strillare erano i cittadini, ma nel deserto.

Poi salta fuori un documento che comprova l’impatto sanitario sul territorio. E’ scandalo.
Si pronuncia indignato il Presidente della Repubblica. Emergono comitati cittadini sconosciuti, pronti a fare la voce grossa. La stampa fa eco. Via con la grande manifestazione di Napoli, 100.000 persone, un fiume in piena. Che travolge soltanto i comitati storici, spazzati via dalla new wave. E’ un grande successo, ora il popolo arrabbiato chiede soldi e giustizia. Lo Stato si impegna e mette i soldi, per la giustizia bisognerà aspettare.

E adesso.
In ogni paese della Terra dei Fuochi è previsto un dannato digestore anaerobico. Sulle terre contaminate si parte alla grande con le colture no food, anche modificate, anche imbottite di pesticidi – tanto quel mais non si mangia, è cibo per il biodigestore.
Dove e a chi andranno i soldi delle bonifiche che nessuno farà? Dove finiranno i resti della digestione? Chi controllerà di notte cosa arriverà nei digestori? Chi pagherà per 20 anni gli incentivi sull’energia prodotta da questi impianti inutili?

E poi si scopre che è stata la maggiore associazione ambientalista italiana, Legambiente, a promuovere i nuovi comitati e il movimento di Napoli. Che, alla faccia dell’ambiente, promuove e commercializza impianti a biogas. Che stringe accordi con esponenti della camorra – le tanto esecrate ecomafie. Che in Parlamento legifera contro l’ambiente, mentre fuori dal Palazzo protesta e si indigna.

Incredibile.

Credevo che la politica italiana fosse arcaica e burina. Ora scopro la sua raffinatezza, i suoi attori mascherati, le capriole verbali, la mistificazione a tappeto. Altro che arcaico, Giorgio Francesco, questo è teatro d’avanguardia. Ma lo spettacolo è insostenibile.

Perdona un piccolo inciso (nella prima lettera ti dicevo che non avrei parlato di soldi, non lo faccio più). Il business degli incentivi su questi impianti (biomasse, biogas, bioliquidi, rifiuti organici) è stimato in circa 6 miliardi di euro l’anno moltiplicato per 20 anni. Fare teatro a volte rende.

E così non ci si può fidare neanche degli ambientalisti, almeno alcuni.
E neanche dei comitati cittadini, almeno alcuni.

Ma da Napoli veniamo a Roma, la strada è breve.
Il sindaco della capitale ha annunciato la nascita di quattro ‘ecodistretti’, naturalmente dotati dei biodigestori amici dell’ambiente, verdi e rinnovabili. E di impianti che selezionano i rifiuti perlopiù per avviarli all’incenerimento.

Chi ha (mal)consigliato l’amministrazione capitolina?
Un altro drappello di mestatori, finti leader dei comitati, grandi esperti con voce suadente e lingua biforcuta, antiinceneritoristi convinti usati come bandiere. Suonando il flauto della competenza, questi personaggi si insinuano nelle amministrazioni e le legano a sé, creando accordi, tavoli e osservatorii – togliendo spazio e credibilità alla vera protesta e alle vere alternative.

Ma sotto le bandiere, come a Napoli, c’è il biobusiness.
La truffa capitale.

Così, dopo Malagrotta, Roma riparte sulla strada del degrado. E anzi, rilancia.
I suoi rifiuti alimenteranno cementifici, centrali e inceneritori – più velenosi di qualunque discarica – mentre il rifiuto organico andrà ad alimentare la speculazione del biogas.
Ritorna per l’ennesima volta lo spettro del megainceneritore di Albano, utile forse per saldare i conti con il Re di Malagrotta – deposto sulla carta, potente nella realtà – ma letale per tutti noi.
Qui a Bracciano pensano a un polo regionale con due grandi impianti inquinanti, tra cui un finto impianto di ‘compostaggio’ – in realtà il solito biogas da rifiuti, classificato ‘Impianto insalubre di Prima Categoria’.
Il nome dello scempio? Distretto del Riciclo.
Non sanno che significa, ma suona bene.

Guardati, caro Giorgio Francesco, dal colore cangiante dei serpenti.
Dal tuo sguardo, dal tuo operato da guerriero, sento che sei immune al loro potere.

Ma che fine faranno, nonostante questo, i rifiuti dello Stato Vaticano?

A domani

abbiamo fame.

Caro Giorgio Francesco
questo è il diciassettesimo giorno. Ieri non sono riuscito a scriverti, il corpo è più debole.

Volevo scriverti a proposito del cibo.

Mi aveva colpito un libro dove l’autore sosteneva che il cibo materiale non fosse l’unico nostro nutrimento. Diceva che anche l’aria che respiriamo è un cibo. Parlava poi di un terzo nutrimento, che lui chiamava ‘impressioni’ e che ci nutrono a un livello più alto.

Pensai allora a quelle volte che vivi qualcosa di intenso – una parola luminosa, un incontro, un paesaggio che non dimenticherai – e senti che entra direttamente in te, nel respiro, poi va in circolo. E ti senti nutrito. Materialmente, come con il cibo quotidiano. Misteriosamente, per giorni o settimane.
Sentii in quelle parole qualcosa di profondo e di vero.

Giorgio Francesco, caro padre, abbiamo bisogno del tuo aiuto per difendere il nostro cibo. Ti prego, ne va della vita. Stanno attentando a tutti nostri nutrimenti.

Stanno svendendo la terra italiana per produrre energia inutile. Con la truffa del biogas, hanno riempito di centrali il Nord Italia togliendo terra dedicata alla nostra alimentazione. E’ immorale, disumano. Ora scendono – Umbria, Lazio, Campania – pompati da televisione, stampa e convegni entusiasti, sempre e ancora a caccia di incentivi. Arriva la Green Economy, è il momento delle Rinnovabili, stai attento Giorgio Francesco, stai in guardia dalla loro miserabile narrativa. Con il biogas da rifiuti avveleneranno i campi e le piante di cui mangeremo i frutti. Non bastavano i vari diserbanti, pesticidi, insetticidi e gli altri doni – omicidi – dell’industria farmaceutica.

Stanno inquinando l’aria. Te ne ho già parlato. Voglio solo ricordare che il problema va oltre gli inceneritori, tanto cari a questo governo, non è solo a Brescia, Parma o Acerra. Non è circoscritto alle grandi centrali o alle industrie inquinanti. I luoghi dove sorgono gli impianti sono i più contaminati, ma l’aria non resta ferma, il pericolo riguarda tutti. Al vento è stata affidata – suo malgrado – una missione di morte. Ricordiamoci dei nostri bambini, sono le prime vittime. Difendiamoli fino all’ultimo respiro.

Non rispettano la vita, figuriamoci il resto.
Il nostro patrimonio paesaggistico e culturale è sotto attacco, e la strategia in campo individua nuovi nemici. Le Soprintendenze. La Guardia Forestale. Ora chi ha il compito istituzionale di proteggere il territorio deve essere spazzato via. Qui a Bracciano l’abbiamo vissuto sulla nostra pelle, abbiamo visto il governo sconfessare il suo stesso dicastero – i Beni Culturali – pur di far spazio a industrie e inquinamento. E così è in tutto il paese. La fame delle lobby non guarda ai boschi, ai nostri luoghi unici al mondo, alle città d’arte. Hanno fame d’altro, una fame che consuma tutto e non si appaga.

Ma anche noi abbiamo fame. Di bellezza. Di incanto e stupore. Di sentire l’impressione delle energie che pervadono ogni cosa, il gusto vivo e sottile della qualità. Nel cibo. Nell’aria. Nel cuore. E forse è proprio questa fame che potrà fermarli.

Facciamola crescere.
Uniamo le forze.

A proposito, caro Giorgio Francesco, l’altro giorno osservavo l’indaco incomparabile dei fiori della cicoria, un colore senza parole, mai visto altrove.
Ma come fa una pianta così umile a permettersi dei fiori così belli?

A domani, se ci riesco a oggi
(devo recuperare un giorno)

verso il centro.

Caro Giorgio Francesco
ieri la croce accanto alla tenda è caduta.
I teli con le scritte hanno preso il vento e l’hanno fatta crollare. Le cerniere si sono deformate (ha le cerniere perché si può smontare, è una croce da viaggio), ma non si è rotta.

Da solo non avrei potuto ripararla e rialzarla, ma guarda caso non ero solo.
In quel momento c’erano due amici, guarda caso maschi, e uno dei due anche ingegnere meccanico. Michel e Giuseppe. Un po’ di lavoro coordinato e abbiamo riparato e rialzato la croce, ora addirittura più stabile e forte.

Guarda caso. Ma da quando ho ascoltato le parole del saggio Oogway nel film sapienziale Kung Fu Panda, non credo più al caso. Provando a leggere gli eventi, quella che appariva una caduta rovinosa sembrava nascondere il messaggio di un rilancio. Emergeva l’importanza della condivisione e del lavoro insieme.

Una croce si porta da soli.
Ma da soli – a parte una nota eccezione – non si va lontano.

La croce in realtà, potremmo quasi augurarcela.
Niente ci attiva come la sofferenza, se non ci facciamo travolgere. Niente ci avvicina di più agli altri.
Se teniamo a qualcuno o a qualcosa, ci viene spontaneo partecipare alla sua gioia, e allo stesso modo partecipiamo alla sua sofferenza. Soffrire – quando è una scelta – ci porta all’azione, alla necessità e all’urgenza dell’azione. C’è qualcosa però da mettere in gioco.

Cambiare direzione alla pazzia dell’essere umano, lanciato a occhi chiusi verso la distruzione, non è un lavoro da poco. L’ultima possibilità per noi è sentire insieme la sofferenza del nostro pianeta, accettare e decidere di esporci – anche regalando un po’ della nostra sofferenza.
E comunque, le alternative scarseggiano. Soffrire senza reagire ci porta alla malattia, ai lamenti, al cinismo. L’indifferenza equivale praticamente al suicidio, e a morire c’è sempre tempo. Non c’è un piano B.
Un po’ di sofferenza. Una piccola azione.

E magari, poi, un miracolo.

La sofferenza è personale, ognuno ha la sua croce.
Ma a volte il nostro soffrire, il nostro vibrare, crea un accordo.
E allora nasce la lotta comune, sofferenze diverse e coordinate, volontà che vanno oltre i particolarismi e i protagonismi, obiettivi che partono dal cuore e poi arrivano alla testa. E l’allegria impagabile del lavoro condiviso.

Caro Giorgio Francesco, una volta un amico mi ha parlato della croce in un modo che non ho dimenticato.
Mi proponeva di immaginarla in movimento, di vederla ruotare su se stessa lungo il suo asse verticale.

Girando, le due braccia disegnano e formano un piano.

Quel piano è dentro di me e al centro c’è un asse.
La mia vita è il viaggio per arrivare al centro.

Quel piano è il mondo e al centro c’è un asse.
Tutti noi, in tempi e modi diversi, convergiamo verso il centro.

E mentre ci avviciniamo al centro, a un tratto facciamo una scoperta.
Ci stiamo avvicinando l’uno all’altro.

A domani

il cerchio.

Caro Giorgio Francesco
ieri è stata una giornata speciale.
Sotto una montagna pensata da animali, si sono incontrati e riuniti degli esseri umani. Ho ricevuto visite toccanti e inaspettate. E la notte abbiamo cantato sotto la luna, e la montagna era solo una linea nell’orizzonte.

Stamattina, osservavo le bottiglie di plastica rimaste in giro. Io non riesco più a comprarle. Lo sai, la plastica del tappo si degrada in un tempo che va dai 500 ai 1.000 anni. Seppellirla è ignobile. Bruciarla è omicida. Cosa ne facciamo?

Tu lo sai.
Perché la plastica è un’assurdità. Perché il nucleare è un’assurdità. Sai cosa succede quando infettiamo la terra con i veleni e la chimica, conosci il pericolo di manipolare la materia e la vita. Evidentemente l’hai incontrata. E’una verità grande, semplice, che ha dietro una legge.

Dobbiamo solo immaginare.
Un cerchio.
La vita è un cerchio.
Abbandoniamo la logica degli opposti e cominciamo a girare, così come fa il mondo.
E ora osserviamo.

Siamo in un cerchio.
Il cerchio è una magia antichissima. Tutto ciò che ne fa parte sostiene ogni parte. Tutto nutre tutto. Il nostro pianeta vive di questo mistero.
Nel cerchio tutto ha una funzione, tutto è relazione.
Nel cerchio c’è la nostra salute, tutti i nostri fratelli animali, ci sono gli alberi che dànno il respiro, c’è una gioia sconfinata. Se contempliamo tutto questo e ne sentiamo la bellezza, sarà naturale per noi prenderci una responsabilità. Saremo una parte del tutto, che desidera prendersi cura del tutto. Saremo i custodi. E l’animale in noi sarà finalmente nostro alleato.

Questo è il passato e forse il futuro.

Ma ora, ora il cerchio è interrotto – ormai in troppi punti.
In duecento anni abbiamo alterato un accordo che durava millenni. “Mai abbiamo maltrattato e offeso la nostra casa comune come negli ultimi due secoli” – parola di Papa.
Abbiamo avvelenato nostra madre, senza pensarci e poi scientemente, ogni giorno avviamo strategie per farlo in modo più efficace e innovativo. Le infliggiamo ogni violenza, violiamo le sue profondità armati di bombe e trivelle, assetati di petrolio e di gas. Creiamo in quantità abnormi sostanze aliene al pianeta e a noi stessi, che escono dal cerchio, non nutrono più nessuno. Fuori da ogni ciclo, inevitabilmente si trasformano in morte, malattie, allergie.
Il professor Tamino li chiama ‘processi lineari’, tipici dell’industria e delle nostre produzioni. Alla fine della linea tutto ciò che resta è un problema che non possiamo più risolvere. Il nostro tappo di plastica è solo al mondo, un perfetto sconosciuto, interessante solo per chi cerca di lucrarci sopra.
Ma una caratteristica dei problemi irrisolti è che si aggravano.
La fine della linea è la nostra.

Confronto a ciò che le stiamo facendo, la nostra Terra è giovane. I suoi miliardi di anni non contano nulla, lei ha esperienza solo di ciò che conosce.

E’ giovane. Non sa cos’è la plastica, non può nutrirsene. Abbiamo scelto per l’usa e getta una materia indistruttibile. Oggetti usati un istante, consegnati all’ambiente per secoli. Noi, gli stessi esseri che hanno inventato il vetro, ancora più longevo, riciclabile all’infinito. E ora la plastica ci avvolge, è nell’aria e nella terra, nei fiumi e nelle onde del mare, nel corpo dei pesci e delle tartarughe. Forse hai visto le immagini degli albatros che noi – ignari anche di questo – assassiniamo a grandi distanze. Fratelli dalle grandi ali bianche uccisi da un tappo di plastica.

La nostra Terra è giovane, non può sapere cosa succede all’uranio quando è colpito al cuore nelle centrali atomiche. Non riconosce i suoi figli radioattivi, pronti a vendicarsi di essere lasciati soli – gettati nel mondo, ma fuori dal mondo.

E’ giovane, ora capisco perché all’inizio della tua enciclica la chiami sorella.
Non possiamo più restare ciò che siamo, bambini avidi e pericolosi. Non possiamo più guardarla come una madre a cui prendere tutto, ma con lo sguardo di un fratello maggiore – tenero e attento, responsabile.

La nostra giovane sorella ora ha bisogno di aiuto per ritrovare il suo equilibrio e la sua purezza. Per tornare nel cerchio. Ha bisogno di noi. Ironia della sorte, proprio di chi l’ha resa così fragile.

A domani

silenzio.

Caro Giorgio Francesco
oggi sono venuti molti amici, è notte. Avrei avuto bisogno di essere solo per scriverti, ma va bene così.
Oggi ciò che posso condividere con te è il loro calore.
E il silenzio che c’è ora, dentro e attorno a me – il silenzio da dove nasce tutto

A domani

vero o no.

Caro Giorgio Francesco
quando tempo fa hai candidamente riconosciuto che, sì, il genocidio degli Armeni è avvenuto realmente, nessuno se l’è inventato, suscitando le ire mediatiche di un presidente poveruomo – ti ho amato molto.

La prima cosa che ci serve è la verità. Se il primo passo è falso, seguiranno passi falsi.

Abbiamo cominciato questa battaglia in tanti, opponendoci alla pratica antica e barbara di seppellire i rifiuti. E ancora di più a quella recente e peggiore di incenerirli.

Alcuni protagonisti di questa lotta comparivano nell’eccellente film di Stefano Montanari SPORCHI DA MORIRE. Stefano e sua moglie Antonietta sono tra gli scienziati italiani più stimati a livello internazionale. Hanno scoperto le nanoparticelle. Hanno visto e studiato gli effetti letali di questi microscopici killer, liberati dalle altissime temperature degli inceneritori e delle centrali. Hanno visto in modo inequivocabile il depositarsi delle particelle all’interno delle cellule. Hanno visto tanto, troppo. Allora gli hanno portato via il microscopio, privandoli dell’unico strumento che poteva consentire studi così pericolosi.
Per i nostri governi e per le lobby a cui sono asserviti, il rischio non sono gli inceneritori, ma la ricerca.
Quella che non sono loro a finanziare.

Non abbiamo diritto alla verità.
Condannati alla confusione, dobbiamo vedere in prima serata il più noto oncologo italiano che alla domanda sui rischi sanitari degli inceneritori risponde ‘zero’ e alza il braccio, ‘zero’ facendo il cerchio con le dita – alla faccia di centinaia di studi ed evidenze scientifiche. Dobbiamo vedere l’attuale Primo Ministro zittire in diretta una dottoressa oncologa sullo stesso tema, a lui evidentemente ignoto, o esaltare le virtù dell’inceneritore di Vienna, quella sì che è gente seria.

E anche oggi cinquecento di noi moriranno di cancro. Questo è serio?
E anche oggi sfileranno dietro agli schermi burattini senza fili e scienziati a gettone, a raccontarci favole condite di progresso.

Un famoso giornalista in TV – con voce profonda e uguale malafede – diceva che dobbiamo aver paura di chi pretende di possedere la verità, che poi magari arriva e ce la impone con la spada. Indubbiamente.
D’altra parte, negare a priori l’esistenza della verità presenta indiscutibili vantaggi.
Se nessuno ha la verità, se nessuno ha il diritto di scomodarla, tutto ciò che resta sono opinioni, punti di vista. E il bello dei punti di vista è che uno vale l’altro, sono tutti legittimi. Così, vince semplicemente l’opinione più forte – è una mera questione di investimenti e di esposizione mediatica.

E le multinazionali affamano il mondo giurando di salvarlo (OGM).
E il nucleare è ecologico perché non produce CO2.
E questa centrale è nuova, è diversa, è di quarta generazione.
E i filtri che filtrano. Il biogas rinnovabile. Il carbone verde.
Tutto falso. Tutto legittimo.
Ma non incide sul conto dei morti.

La verità è una vibrazione, la vedi negli occhi di una persona, la senti nella voce.
Si riconosce. Ti arriva addosso con una frase – la sua saggezza ti investe. Non c’è scampo.
‘Guardi la pagliuzza nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che hai nel tuo.’
E’ l’esempio di qualcosa che facciamo mille volte al giorno.
Allora è vero. O no?

In barba agli opinionisti, come risposta alla domanda ‘Cosa possiamo fare per il nostro pianeta?’ un giorno ho visto affacciarsi, finalmente, la verità. Proprio lei. Bella, tonda, luminosa.
Mi è arrivata per bocca del venerabile professor Tamino e mi è sembrato che venisse da Dio in persona. E non ho sbagliato. Infatti l’ho ritrovata nella tua enciclica (punto 22) a testimonianza dei tuoi rapporti con il creatore, evidentemente stretti.

Ora però perdonami, sono stanco.
C’è con me la mia dolce sposa e mi aspetta ancora il mio mezzo yogurt.
Ti scrivo all’alba.

A domani